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RECENSIONI

MASOCHISMI ORDINARI

Recensione di MARCO FOCCHI

Alla fine degli anni Settanta Christopher Lasch, con il suo fortunato libro “La cultura del narcisismo”, fu l’antesignano dei temi che descrivono la società moderna come fatta di legami deboli, senza impegno, non durevoli, che adora sfrenatamente le star del cinema e le celebrità in genere, e che perdendo presa sull’iniziativa individuale, scivola progressivamente verso molteplici forme di dipendenza. Negli anni Ottanta vennero poi le analisi sull’individualismo contemporaneo di Lipovetsky, e nel Duemila si precisò il quadro della modernità liquida presentato da Bauman. Queste analisi sociologiche successive esplorano e ampliano i temi proposti da “La cultura del narcisismo”, ma Lasch resta senz’altro il primo critico che sia dato il compito di analizzare una configurazione sociale attraverso la lente di un concetto clinico come quello di “narcisismo patologico”.

L’ultimo libro di Marisa Fiumanò sposta l’angolo di lettura della problematiche clinico-sociali mettendo l’accento sul masochismo. L’autrice tiene a ben distinguere il masochismo perverso, cioè la forma clinica del masochismo, da quello che chiama masochismo ordinario. Quest’ultimo consiste in in una subordinazione del soggetto alla pulsione che lo travolge in modo incontrollabile, come una valanga che lo trascina al di là del principio di piacere. Intravediamo già così l’articolazione del masochismo con la pulsione di morte, che guida l’autrice nella meticolosa lettura che fa dei testi di Freud e di Lacan per trarne le linee fondamentali a sostegno del suo punto di vista.

​Espressa in modo sintetico, la tesi di fondo del libro è che il soggetto è sottomesso dalla pulsione, e questa tesi prolunga i risultati del precedente lavoro della Fiumanò, “L’inconscio è il sociale”, pubblicato nel 2010. L’analisi qui verteva sulla dipendenza del soggetto da un godimento senza limite, che può configurarsi come una sorta di “tossicomania”. Il nuovo libro è l’ampliamento delle precedenti analisi che mostrano come i problemi clinici appaiano, su diversa scala, come specchio del sociale ed evidenziano come i sintomi individuali, nel campo delle problematiche psicologiche, siano plasmati “dall’aria del tempo”.
Il masochismo ordinario è infatti “ordinario” perché non ha nulla a che vedere con con gli straordinari scenari letterari disegnati da Leopold von Sacher-Masoch, né con l’immaginario contemporaneo della Domina, la donna vestita di pelle nera, con stivali tacco a stiletto, frustino in mano e sguardo che sottomette. Il masochismo, per Fiumanò, è piuttosto la chiave di lettura di una società in cui il godimento prevale sugli ideali, e in cui ci si sente inermi di fronte ai poteri forti, che sono ormai quelli economico-finanziari e non più quelli politici. 
Chi è il soggetto inerme? È il prototipo del cittadino che sente di non aver leve per intervenire sulla realtà in cui si trova a vivere, né strumenti per modificare con un’azione politica la struttura sociale di cui fa parte.
Questo senso di impotenza induce due effetti fondamentali. Il primo, individuato dall’autrice, è quello di una sacralizzazione della Madre come figura per eccellenza del soccorso. Nel momento attuale caratterizzato, come da più lati si rileva, da un declino del padre – che è piuttosto un declino dell’autorità sociale – la madre si innalza come partner di un soggetto che non ha più in mano le redini della propria vita, e che ha bisogno di aiuto. Un esempio che l’autrice ne offre è il caso di Annamaria Fiorillo, il Pubblico Ministero che si era pronunciato per l’adottabilità del figlio di Martina Levato, la donna che aveva sfigurato con l’acido l’ex fidanzato. La decisione del magistrato, sensata perché avrebbe permesso al bambino di vivere una vita con dei genitori adottivi adeguati, solleva l’indignazione dell’opinione pubblica, perché priva una madre del bambino, tocca cioè la figura sacralizzata e onnipotente della madre. Si crea così una pressione che induce il Tribunale dei Minori a rivedere la direzione presa dalla Fiorillo. 
Il secondo effetto dell’impotenza diffusa in una società fondata sul soccorso anziché sull’autorità è la frustrazione. Come sappiamo la frustrazione produce aggressività, e va a sollecitare una delle passioni fondamentali dell’essere umano che è l’odio.
Ne conosciamo diverse espressioni contemporanee: le macchine del fango che affrontano l’avversario distruggendone l’immagine, i dibattiti politici ridotti a urla e insulti, nei quali non è possibile ascoltare nessun argomento, gli schieramenti partitici che si trasformano in un muro contro muro dove l’avversario non è neppure considerato un interlocutore, e dove il leader del momento più che vettore di programmi è la bandiera che separa berlusconiani da antiberlusconiani, o renziani da antirenziani. Conosciamo poi le valanghe d’odio che si riversano quotidianamente sulla rete dando la stura a impulsi ciechi, che si esprimono distruggendo la reputazione di una persona con una volontà di umiliazione che va fino al di là dell’annullamento fisico. Non fa impressione, nei casi di suicidio dovuto a cyberbullismo, leggere dei tweet o dei commenti su facebook che esprimono disprezzo per la vittima anche dopo la morte? L’autrice fa una lucida analisi di questa situazione utilizzando alcuni concetti di Lacan. Il momento attuale – secondo Lacan – appare dominato dall’odio sociale perché i soggetti non hanno bisogno di assumere il vissuto dell’odio in quel che ha di più bruciante e di più drammatico. Il momento attuale di Lacan erano gli anni Cinquanta, l’immediato dopoguerra di un conflitto mondiale che aveva conosciuto gli orrori della Shoa. Ma da questo punto di vista possiamo solo dire che la situazione non è migliorata, e forse per certi aspetti si è incrudelita. L’idea della strage di persone condannate non per quello che fanno ma per quello che sono non è affatto tramontata. Il razzismo non si è per nulla estinto. Le istituzioni ebraiche nei paesi occidentali sono tutte presidiate dal polizia perché possibili bersagli di attacchi. L’immigrazione solleva ondate di populismo sicuramente non benevolo nei confronti dei nuovi arrivati. 
“America first”, che è la traduzione attuale di  “Deutschland uber alles”, è uno slogan che fa tremare le vene ai polsi, perché la società di “masochismo ordinario” rappresentata dagli Stati Uniti invoca oggi una “madre soccorrevole” nelle vesti di Donald Trump per liberarla dalla feccia impura di cui ritiene di subire l’invasione (messicani, negri, orientali: dobbiamo peraltro ancora capire bene perché Trump si sia messo contro la Cina rovesciando i termini tradizionali di chi è partigiano della globalizzazione e chi del protezionismo). L’odio investe tutte le differenze razziali o religiose: innalza i muri, spara sul Bataclan e su Charlie Hebdo, lancia camion a Nizza e a Berlino contro persone indifese, brucia aviatori siriani, sgozza ostaggi occidentali, e tutto diventa spettacolo su You Tube. L’autrice mette ben in risalto l’articolazione tra narcisismo e masochismo, che “vanno a braccetto come un cieco e un ubriaco”, e ci mostra che una “cultura del narcisismo” non basta più a spiegare i fenomeni a cui assistiamo in questi anni. Ci vuole la cecità egoista della “pancia profonda di un paese” come l’America che mette in mano la valigetta con i codici delle testate atomiche a una “madre soccorrevole” dal carattere piuttosto instabile, irritabile e permaloso, ma occorre anche il masochismo della “parte illuminata” del popoli europei che inseguendo l’ideale di perfezione da cui farsi rappresentare negli schieramenti progressisti riescono solo a produrre divisione e a darsi la zappa sui piedi.
Il mondo masochista di oggi costeggia la pulsione di morte, e a volte sembra la corteggi, ma non è all’uomo forte del momento che dobbiamo chiedere aiuto, perché occorre piuttosto imparare a guardare l’altro come il prossimo anziché come il nemico, e la forza di questo diverso sguardo è da coltivare dentro ciascuno di noi: è l’aspetto in cui la psicoanalisi rivela il proprio ineludibile ruolo sociale.

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