RECENSIONI
MASOCHISMI ORDINARI
La recensione di MARCO FOCCHI
Alla fine degli anni Settanta Christopher Lasch, con il suo fortunato libro “La cultura del narcisismo”, fu l’antesignano dei temi che descrivono la società moderna come fatta di legami deboli, senza impegno, non durevoli, che adora sfrenatamente le star del cinema e le celebrità in genere, e che perdendo presa sull’iniziativa individuale, scivola progressivamente verso molteplici forme di dipendenza. Negli anni Ottanta vennero poi le analisi sull’individualismo contemporaneo di Lipovetsky, e nel Duemila si precisò il quadro della modernità liquida presentato da Bauman. Queste analisi sociologiche successive esplorano e ampliano i temi proposti da “La cultura del narcisismo”, ma Lasch resta senz’altro il primo critico che sia dato il compito di analizzare una configurazione sociale attraverso la lente di un concetto clinico come quello di “narcisismo patologico”.
L’ultimo libro di Marisa Fiumanò sposta l’angolo di lettura della problematiche clinico-sociali mettendo l’accento sul masochismo. L’autrice tiene a ben distinguere il masochismo perverso, cioè la forma clinica del masochismo, da quello che chiama masochismo ordinario. Quest’ultimo consiste in in una subordinazione del soggetto alla pulsione che lo travolge in modo incontrollabile, come una valanga che lo trascina al di là del principio di piacere. Intravediamo già così l’articolazione del masochismo con la pulsione di morte, che guida l’autrice nella meticolosa lettura che fa dei testi di Freud e di Lacan per trarne le linee fondamentali a sostegno del suo punto di vista.
Espressa in modo sintetico, la tesi di fondo del libro è che il soggetto è sottomesso dalla pulsione, e questa tesi prolunga i risultati del precedente lavoro della Fiumanò, “L’inconscio è il sociale”, pubblicato nel 2010. L’analisi qui verteva sulla dipendenza del soggetto da un godimento senza limite, che può configurarsi come una sorta di “tossicomania”. Il nuovo libro è l’ampliamento delle precedenti analisi che mostrano come i problemi clinici appaiano, su diversa scala, come specchio del sociale ed evidenziano come i sintomi individuali, nel campo delle problematiche psicologiche, siano plasmati “dall’aria del tempo”.
Il masochismo ordinario è infatti “ordinario” perché non ha nulla a che vedere con con gli straordinari scenari letterari disegnati da Leopold von Sacher-Masoch, né con l’immaginario contemporaneo della Domina, la donna vestita di pelle nera, con stivali tacco a stiletto, frustino in mano e sguardo che sottomette. Il masochismo, per Fiumanò, è piuttosto la chiave di lettura di una società in cui il godimento prevale sugli ideali, e in cui ci si sente inermi di fronte ai poteri forti, che sono ormai quelli economico-finanziari e non più quelli politici.
Chi è il soggetto inerme? È il prototipo del cittadino che sente di non aver leve per intervenire sulla realtà in cui si trova a vivere, né strumenti per modificare con un’azione politica la struttura sociale di cui fa parte.
Questo senso di impotenza induce due effetti fondamentali. Il primo, individuato dall’autrice, è quello di una sacralizzazione della Madre come figura per eccellenza del soccorso. Nel momento attuale caratterizzato, come da più lati si rileva, da un declino del padre – che è piuttosto un declino dell’autorità sociale – la madre si innalza come partner di un soggetto che non ha più in mano le redini della propria vita, e che ha bisogno di aiuto. Un esempio che l’autrice ne offre è il caso di Annamaria Fiorillo, il Pubblico Ministero che si era pronunciato per l’adottabilità del figlio di Martina Levato, la donna che aveva sfigurato con l’acido l’ex fidanzato. La decisione del magistrato, sensata perché avrebbe permesso al bambino di vivere una vita con dei genitori adottivi adeguati, solleva l’indignazione dell’opinione pubblica, perché priva una madre del bambino, tocca cioè la figura sacralizzata e onnipotente della madre. Si crea così una pressione che induce il Tribunale dei Minori a rivedere la direzione presa dalla Fiorillo.
Il secondo effetto dell’impotenza diffusa in una società fondata sul soccorso anziché sull’autorità è la frustrazione. Come sappiamo la frustrazione produce aggressività, e va a sollecitare una delle passioni fondamentali dell’essere umano che è l’odio.
Ne conosciamo diverse espressioni contemporanee: le macchine del fango che affrontano l’avversario distruggendone l’immagine, i dibattiti politici ridotti a urla e insulti, nei quali non è possibile ascoltare nessun argomento, gli schieramenti partitici che si trasformano in un muro contro muro dove l’avversario non è neppure considerato un interlocutore, e dove il leader del momento più che vettore di programmi è la bandiera che separa berlusconiani da antiberlusconiani, o renziani da antirenziani. Conosciamo poi le valanghe d’odio che si riversano quotidianamente sulla rete dando la stura a impulsi ciechi, che si esprimono distruggendo la reputazione di una persona con una volontà di umiliazione che va fino al di là dell’annullamento fisico. Non fa impressione, nei casi di suicidio dovuto a cyberbullismo, leggere dei tweet o dei commenti su facebook che esprimono disprezzo per la vittima anche dopo la morte? L’autrice fa una lucida analisi di questa situazione utilizzando alcuni concetti di Lacan. Il momento attuale – secondo Lacan – appare dominato dall’odio sociale perché i soggetti non hanno bisogno di assumere il vissuto dell’odio in quel che ha di più bruciante e di più drammatico. Il momento attuale di Lacan erano gli anni Cinquanta, l’immediato dopoguerra di un conflitto mondiale che aveva conosciuto gli orrori della Shoa. Ma da questo punto di vista possiamo solo dire che la situazione non è migliorata, e forse per certi aspetti si è incrudelita. L’idea della strage di persone condannate non per quello che fanno ma per quello che sono non è affatto tramontata. Il razzismo non si è per nulla estinto. Le istituzioni ebraiche nei paesi occidentali sono tutte presidiate dal polizia perché possibili bersagli di attacchi. L’immigrazione solleva ondate di populismo sicuramente non benevolo nei confronti dei nuovi arrivati.
“America first”, che è la traduzione attuale di “Deutschland uber alles”, è uno slogan che fa tremare le vene ai polsi, perché la società di “masochismo ordinario” rappresentata dagli Stati Uniti invoca oggi una “madre soccorrevole” nelle vesti di Donald Trump per liberarla dalla feccia impura di cui ritiene di subire l’invasione (messicani, negri, orientali: dobbiamo peraltro ancora capire bene perché Trump si sia messo contro la Cina rovesciando i termini tradizionali di chi è partigiano della globalizzazione e chi del protezionismo). L’odio investe tutte le differenze razziali o religiose: innalza i muri, spara sul Bataclan e su Charlie Hebdo, lancia camion a Nizza e a Berlino contro persone indifese, brucia aviatori siriani, sgozza ostaggi occidentali, e tutto diventa spettacolo su You Tube. L’autrice mette ben in risalto l’articolazione tra narcisismo e masochismo, che “vanno a braccetto come un cieco e un ubriaco”, e ci mostra che una “cultura del narcisismo” non basta più a spiegare i fenomeni a cui assistiamo in questi anni. Ci vuole la cecità egoista della “pancia profonda di un paese” come l’America che mette in mano la valigetta con i codici delle testate atomiche a una “madre soccorrevole” dal carattere piuttosto instabile, irritabile e permaloso, ma occorre anche il masochismo della “parte illuminata” del popoli europei che inseguendo l’ideale di perfezione da cui farsi rappresentare negli schieramenti progressisti riescono solo a produrre divisione e a darsi la zappa sui piedi.
Il mondo masochista di oggi costeggia la pulsione di morte, e a volte sembra la corteggi, ma non è all’uomo forte del momento che dobbiamo chiedere aiuto, perché occorre piuttosto imparare a guardare l’altro come il prossimo anziché come il nemico, e la forza di questo diverso sguardo è da coltivare dentro ciascuno di noi: è l’aspetto in cui la psicoanalisi rivela il proprio ineludibile ruolo sociale.
MASOCHISMI ORDINARI
La recensione di LAURA PIOGOZZI per DOPPIOZERO
Sono stato indotto a riconoscere un masochismo primario - erogeno - dal quale si sviluppano due forme successive, il masochismo femminile e quello morale. (Freud)
Il masochismo morale fa male… non solo al soggetto, ma soprattutto alla coppia, al partner, alle relazioni. È una conseguenza di quello che Freud ha chiamato il masochismo morale e che si sviluppa quando l’abbandono del masochismo primario erogeno – quello legato ai piaceri forniti dalla madre – risulta incompleto. E allora abbiamo storie che non decollano mai veramente: iniziano, sembrano promettenti ma s’incagliano contro uno scoglio fantasma e restano in secca anche per anni. La non elaborazione del masochismo erogeno, simbiotico, fa mancare il passaggio strutturante e umanizzante al masochismo fondamentale che da quei piaceri primitivi prevede la separazione.
Le forme di impasse che incontra un soggetto nel suo cammino verso il masochismo fondamentale e civilizzatore, si fanno intendere in un libro fresco di stampa – Masochismi Ordinari, Mimesis – della psicoanalista Marisa Fiumanò, la quale rileva la difficoltà che c’è oggi nel sottomettersi, appunto, al masochismo fondamentale, cioè a un regime masochista portatore di un limite, moderato, buono (come il colesterolo), temperato, direi, usando una metafora che prelevo dall’armonia musicale. Se questo temperamento riesce con difficoltà ne va di mezzo anche la musica della coppia e il masochismo morale che allora si produce, più spesso nel partner maschile, la guasta. Si tratta di una piaga il più delle volte non rimarginabile: spesso una donna, all’inizio della storia soprattutto, non vede nell’attaccamento alle figure del passato del proprio uomo ciò che impedisce la relazione. Oppure si tratta di relazioni a forti tratti adolescenziali in cui uno o entrambi i partner restano dipendenti, materialmente o moralmente, dai genitori. A volte, al partner che subisce il masochismo morale dell’altro, l’ostacolo non sembra visibile: è la madre immaginaria, quella dei falsi ricordi. È la Madeleine di Proust, quella mai più ritrovabile dopo il primo assaggio, dice Fiumanò.
Pur essendoci anche dei masochisti morali d’eccellenza – come Dostoevskij per Freud, che guarisce dall’epilessia solo quando è deportato in Siberia; oppure Marx secondo Lacan il quale ritiene che un grande ideale morale spesso si connetta a una vita di sacrificio nella vita sessuale e/o sentimentale – i masochisti morali ordinari, quelli che incontriamo nella vita quotidiana, sono soggetti impossibilitati a scegliere una donna, un Altro, e dimostrano questa impossibilità o avendone molte – è il caso del triste dongiovanni, alla fine solo – , o non avendone nessuna; oppure si tratta di quei soggetti che non possono amare, che non ce la fanno a scegliere la donna che vorrebbero (e a volte proprio “dovrebbero“ scegliere, pur facendo la tara del fatto che ogni oggetto è inappropriato a placare la fame del desiderio). Nei masochisti morali è quasi sempre presente una forma di impotenza, perché la potenza sta tutta dalla parte dell’Altro materno. Il partner che inconsciamente resta legato ai piaceri antichi prende la posizione erotizzata del neonato. Quando il masochismo originario erogeno insiste troppo, avvelena le vite, soprattutto degli uomini (ma, oggi, che siamo in difetto di Edipo, anche di alcune donne). E ciò avviene in maniera più marcata soprattutto laddove esiste un culto collettivo della sacralità della maternità che, dunque, finisce per sostenere il masochismo morale anche a livello del discorso sociale.
Il libro di Fiumanò non tratta del masochismo nella sua forma perversa, ma del masochismo nevrotico, quello che incontriamo tutti i giorni: quello dell’amica o dell’uomo che amiamo o, più semplicemente, il nostro. Parlare di masochismo sembra oggi fuori tema, dato che il nostro non sembra un tempo in cui ci si sacrifica ma nel quale, piuttosto, si pretende. Eppure, oggi i masochismi ordinari sono una cifra della contemporaneità: in essi ritroviamo sia la radice del narcisismo che quella della violenza, come vedremo più avanti.
Per spiegare come funziona il masochismo, Fiumanò sceglie una figura singolare: Totò. Lo sketch analizzato è il seguente: Totò viene schiaffeggiato ripetutamente perché scambiato per un certo Pasquale e non si difende. Interrogato dall’amico sul perché di questa sua arrendevolezza risponde: “Ma scusa, mica sono io Pasquale!” Cosa sta dicendo, Totò? Ci dice, rileva Fiumanò, che il dolore nell’uomo non è animale: non è il corpo animale che prova dolore, ma il corpo soggettivo, quello abitato da una storia. E nel corpo di Totò la storia di Pasquale non c’è, dunque, genialmente, Totò non può soffrirne. Non è a lui che l’ingiuria dell’Altro è rivolta. È qui che s’introduce il fatto che il dolore non è il fine del masochista, ma piuttosto egli accetta la sofferenza – come un corollario, per così dire – come conseguenza del fatto che ci possa essere rapporto con un Altro. Lo schiaffeggiatore non rappresenta un Altro significativo per Totò, quindi anche se la sua guancia è colpita non c’è vera sofferenza. Ciò che è importante per il masochista non è il dolore, ma l’Altro. Non è il dolore che viene cercato nella pratica masochista, tuttavia lo accetta pur di farsi oggetto dell'Altro. Se non c'è l'Altro, che il masochista stesso fatto sorgere, non è pensabile l’eccitazione. Totò non ha “approfittato” del dolore casuale per godere. No, Totò ci indica che per godere della sofferenza bisogna che gli schiaffi siano proprio destinati a noi.
Un altro riferimento “leggero” è la fiaba natalizia di Scrooge, tratta dal celeberrimo Cantico di Natale di Charles Dickens. La storia è nota: al vecchio spilorcio Scrooge è data la possibilità di “vedere” la sua vita sotto un altro angolo al risveglio da un terribile incubo e di liberarsi del suo… masochismo narcisistico. Scrooge, cioè, si libera dall’investire le sue energie libidiche unicamente sul proprio io e riesce a investirle anche sugli altri: sul suo dipendente che ha una famiglia con un bimbo malato, oppure accettando l’invito di suo nipote per il pranzo di Natale, invito che Scrooge aveva sempre rifiutato pieno di sdegno. È una fiaba che parla al masochista narcisista che c’è in ognuno di noi: “ognuno di noi rischia di essere Scrooge", dice Fiumanò. Il narcisismo è un masochismo nel senso che la libido è bloccata all’interno: si chiarisce, così, il legame tra narcisismo e pulsione di morte. Il narcisista è un masochista, non lo avremmo visto con tanta chiarezza senza la rilettura folgorante del personaggio di Scrooge. E questo ci fa pensare a ciò che si cela dietro l’immagine senza immaginazione dell’epoca mortifera in cui viviamo.
Scrooge è il cattivo per definizione, ma c’è anche il narcisimo del buono, ci ricorda Fiumanò. Chi è la persona buona? Le cosiddette persone buone non esprimono nessuna forma di aggressività perché schiacciate da un pesantissimo senso di colpa e manifestano un bisogno di punizione. I buoni sognano un mondo senza fratture né conflitti, vogliono pensarsi senza ambiguità e doppiezze. Non vogliono rinunciare a niente né perdere niente: questo masochismo morale in realtà copre un inguaribile e inconfessato narcisismo, il narcisismo di chi si vuole ad ogni costo intero, dice Fiumanò, non diviso. In un tempo in cui nessuno si sente più in colpa, il masochista morale ci appare proprio come una brava persona. In realtà il masochista morale – che abbiamo visto far naufragare, soffrendo per primo, la coppia – è colui che rinuncia al proprio desiderio. Cito da Masochismi ordinari: “In questo masochismo morale, nevrotico, si spende la propria vita per rispondere alla domanda dell’Altro – e dei piccoli altri concreti che lo incarnano – e non ci si cura del proprio desiderio, sessuato, di uomo o di donna.”
Penso a più d’un uomo che quando trova una donna possibile e il legame si stringe, non può che scappare, soffrendo atrocemente. Penso anche ad amici, alcuni molto cari, tutti uomini intelligenti e, contemporaneamente, impossibilitati a fare il salto nel mondo adulto, nel mondo in cui si sceglie una donna e si lascia il passato rappresentato dalla madre. L’ostacolo fantasma è una separazione non fatta coi piaceri primitivi e mette in luce la pulsione di morte insita in alcune fedeltà familiari dall’apparente bontà. Ricorda Fiumanò che Hiltebrand, scherzando a uno dei seminari milanesi organizzati da ALI, ha detto che i comandamenti dicono di amare la madre, ma non di telefonarle ogni giorno. Né di dormire con lei, aggiungo io, per dire di una pratica oggi quotidiana. La psicanalisi contrasta l’incesto non per ragioni morali, ricorda Fiumanò, ma perché esso impedisce al desiderio del soggetto di emergere e di legare la pulsione di morte. La pulsione, quando va alla ricerca del tempo perduto, è mortifera. Nella analisi del geniale film greco The Lobster (di Lanthimos), che si trova in Epilogo a Masochismi ordinari, l’autrice scrive che il film dimostra come una dittatura sia possibile solo sollecitando proprio il masochismo originario, primitivo, del singolo.
I piaceri fuori tempo e senza argine diventano tossici. È il masochismo del Reale, di cui possiamo parlare dopo la teorizzazione del Reale di Lacan: è il masochismo più duro, quello delle dipendenze. È quello in cui una Sirena malevola chiama il corpo allo sfinimento e all’anestesia al dolore, come nell’anoressia, nella bulimia, e nelle malattie somatiche, e a volte anche in alcune degenerative o autoimmuni. Anche la malattia può essere una droga e può contenere una sua perversa ebrezza. Il masochismo è una forma di tossicomania, dice Fiumanò.
Il masochismo del Reale è un buco oscuro nei confronti del quale anche l’analista deve fare voto di castrazione, calmierare la sua hybris sanandi, per dirla usando un bilinguismo un po’ atroce, perché si tratta di godimenti più forti persino del godimento sessuale. Spesso più forti del transfert.
C’è una via d’uscita? Freud, lo sappiamo, non è molto ottimista per il futuro dell’umanità e taglia corto con l'idea del progresso: la civiltà è sempre messa rischio e non c'è bandiera politica che possa metterci al riparo una volta per tutte dalla barbarie pulsionale, ricorda Fiumanò.
Però, a questo proposito, il libro offre pagine intense sul masochismo fondamentale, vero cuore del testo, introdotto da un ricordo personale, affettivo, della maestra elementare di Marisa Fiumanò che bacchetta con tocchi lievi ma soggettivizzati (e soggettivizzanti) le mani degli scolari e delle scolare, introducendo così il tempo del lavoro e della differenza sessuale. Questo ricordo è collegato da Fiumanò al fantasma trattato da Freud e ripreso da Lacan, definito un bambino viene picchiato. Si tratta di un fantasma del masochismo fondamentale che mette in scena la sottomissione di entrambi i sessi alla legge del linguaggio e che è regolatore della differenza sessuale: il masochismo fondamentale consiste in questa forma di sottomissione… per non soccombere.
Nel masochismo fondamentale si tratta di rinunciare a un po’ di godimento tossico per lasciare che la castrazione faccia il suo, direi, democratico lavoro ed eviti, così, la perversione e la psicosi. Quando De Niro in C'era una volta l'America di Sergio Leone, alla domanda di Moe “cosa hai fatto in tutti questi anni?” risponde “sono andato a letto presto la sera”, cosa dice? Oltre che citare l’incipit del romanzo di Proust, ci dice forse che dopo una vita banditesca di eccessi e violenze, si può abbracciare quel masochismo fondamentale – che qui prende la forma del coricarsi presto invece di bere, drogarsi e compiere azioni criminali – e che ci fa accettare la nostra finitezza e quel limite che solo ci permette di riuscire nella vita: non a caso il senatore, cioè il vecchio compagno di banditismi di De Niro, che si è solo ripulito un po’ ma che non è passato dalla castrazione, si suicida. Il masochismo fondamentale è quello che ci permette di amare, lavorare, pensare, realizzare, in una parola sublimare, anche se non siamo artisti o scrittori o pensatori: e questo è un punto fondamentale della sublimazione, che tengo a sottolineare. Anche la lettura, se non è vissuta come essere riempiti dalla grande “tetta" del libro, ma se si trasforma in una lettura attiva che ci confronta col testo, è sublimazione. Ma anche apparecchiare una tavola per un ospite improvviso senza molte risorse in casa, lo è. La sublimazione è per tutti, anche lei è democratica! E, per tutti, passa da questo masochismo civilizzatore che si raggiunge attraversando la castrazione e che mi pare che offra anche un argomento solido al legame tra castrazione e democrazia, così come lo sprofondamento nell’assenza di limiti è ciò che la dittatura sollecita. Il masochismo fondamentale è quello che subisce poderosi colpi nell’attualità e che invece va recuperato pena l’infragilimento strutturale dell’umanità stessa.
E arriviamo, infine, al masochismo femminile, quello che… non esiste. Le donne non sono masochiste, dice Lacan. Fiumanò puntualizza in maniera radicale che piuttosto che parlare di masochismo femminile è preferibile, seguendo la traduzione di Renata Colorni, dire femmineo. Oppure, secondo la definizione della stessa Fiumanò, a cui aderiamo, meglio ancora dire masochismo femminile dell’uomo. Cito da Masochismi ordinari: “Nei termini posti da Freud la questione non lascia adito ad alcun dubbio: il masochismo femminile riguarda gli uomini, sono loro a parlarne, è un fantasma maschile. Freud precisa che ha ricavato le fantasie masochiste dalle testimonianze dei suoi pazienti maschi (subire il coito, partorire)... Anche se ha a che fare con un fantasma maschile, le donne, in qualche modo, lo assecondano, lo incarnano, lo rappresentano. Questo fantasma fa parte del dialogo tra i sessi... le donne assumono il sembiante di "a" – l'oggetto causa del desiderio – ma non credono affatto di essere "a"... le donne danno solo a vedere di prendersi per l'oggetto”.
La donna non si prende davvero per oggetto causa di desiderio dell’uomo, ma fa sembiante di prendersi, si veste da “a”; “a” è un abito; è una finzione che serve alla causa dell’incontro, del dialogo tra i sessi, dice Lacan. Una donna si apparecchia da sembiante, indossa la sua “a” migliore. Purtroppo, a volte ci sono uomini che credono davvero ad “a”, a una donna scintillante, come se dovesse essere sempre così, anche quando, struccata, dorme.
Il masochismo in una donna è, dice Fiumanò, una “mascherata” della femminilità (fare la poverina, o la bambina). Un’astuzia che sostiene l’incontro sessuale: eroine del desiderio, le chiama l’autrice
Ma il sembiante di una donna non è coestensivo della soggettività di una donna: una donna è ben più del sembiante che gioca nelle relazioni sociali e amorose. C’è una specie di diplopia (essere e non essere “a”) che tocca il femminile: le donne sono costrette a vedere doppio, dice Fiumanò citando la tesi di Jean Marie Forget. Da un lato possono leggere i propri significanti e dall’altro riescono a leggere quelli dell’uomo. O anche, contemporaneamente: lettura del proprio fantasma e lettura del posto che l’uomo le assegna nel proprio di fantasma. È una lettura che, quando va bene, una donna impara dalla madre.
C’è un punto, però, che sembra contraddire l’inesistenza del masochismo femminile ed è il caso delle donne che subiscono violenza: l’estrema dedizione all’uomo che si nota in questi casi, dice Fiumanò, è ancora oscura, ma l’etichetta di masochismo non basta. È nella seconda tappa del fantasma “mio padre mi picchia” il luogo in cui va rintracciata la radice di una predilezione, quel “mi picchia, quindi mi ama” che troviamo nelle dichiarazioni di alcune donne. È un comportamento masochista – contingente, non strutturale, dice Fiumanò – che asseconda l’uomo fino all’eccesso (un eccesso imparato dove?, mi sono chiesta in un altro articolo pubblicato qui su Doppiozero: e che preserva loro un posto d’elezione: essere scelta, essere riconosciuta come unica, fosse anche l’unica capace di sopportare la sua violenza. A costi altissimi, si preserva una identità (moglie, madre, compagna) – è la tesi di Fiumanò – una identità non più soggetta alle erranze perturbanti del femminile. La causa di tutto questo sopportare sarebbe, dunque, una ricerca d’identità. Un mezzo imperfetto, immaginario, per trovare un posto nell’ordine simbolico. E nell’“amore” dell’altro, aggiungerei. Una scorciatoia masochista, non un masochismo vero e proprio.
Anche qui – e così concludiamo ricongiungendoci all’inizio del ragionamento – il soggetto attraversa il dolore purché l’Altro lo veda e ne definisca i contorni del corpo, foss’anche coi lividi. Le donne non vogliono essere rifiutate, dice Fiumanò e, paradossalmente, per questo possono prendere il posto di un oggetto di scarto ma solo sotto il segno di una scelta identitaria masochista che funziona da strategia per evitare modi più complessi per entrare nell’ordine simbolico. Certamente questa è una questione enorme e che resta aperta. Qui Fiumanò offre spunti di riflessione che vanno al cuore dell’enigma degli abissi femminili e di cui non è possibile squarciare definitivamente il velo.